Recensione - Ragazza numero A-7807, di Sara Leibovits e Eti Elboim
Buongiorno miei cari lettori. E' con immenso piacere e un peso sul cuore che oggi darò voce, grazie alla Newton Compton Editori, alla toccante storia di Sara Leibovits, raccontata insieme alla figlia Eti Elboim ,dal titolo "Ragazza numero A-7807" per non dimenticare quello che è stato uno tra i momenti più tragici che la storia ricordi.
TITOLO: Ragazza numero A-7807
AUTORE: Sara Leibovits, Eti Elboim
GENERE: Autobiografia
CASA EDITRICE: Newton Compton Editori
TRADUTTORE: Carlotta Mele
DATA DI USCITA: 16 gennaio 2024
COLLANA: I volti della storia
PAGINE: 224
1944. Sara Leibovits, una ragazza ebrea di sedici anni, viene deportata ad Auschwitz con la sua famiglia. Trascorrono insieme pochi momenti prima che i loro destini vengano stravolti. La madre e i cinque fratellini di Sara vengono mandati direttamente alla morte. Il padre viene dapprima destinato al sonderkommando, il gruppo di chi è costretto a rimuovere i corpi dalle camere a gas, e poi giustiziato. Solo Sara sopravvive. Questa è la potente storia vera di Sara Leibovits e delle incredibili sofferenze e difficoltà che ha dovuto affrontare durante la prigionia nel campo di sterminio, raccontata insieme a sua figlia, Eti. In questo avvincente libro di memorie, i loro destini si intrecciano. Cosa significa sopravvivere all'Olocausto, e cosa comporta crescere con una madre segnata da quegli orrori?
Questo
storia raccontata da Sara, vittima dell’Olocausto, e da sua figlia Eti, e’
qualcosa di davvero commovente ed emozionante. Ci soffermiamo a considerare i
sopravvissuti alla Shoa come le sole vittime di quell’enorme e brutale tragedia,
senza però considerare come il male e la sofferenza subita si ripercuotano, inevitabilmente,
anche su quelli che sono i cosidetti “sopravvissuti all’0locausto di seconda
generazione”, come lo è stata Eti e tantissime persone con la medesima storia
familiare alle spalle.
Sara ha solo
16 anni quando viene deportata ad Auschwitz con la sua famiglia, padre, madre
e 5 fratelli, dai quali sara’ costretta a separarsi poco dopo il loro
arrivo. Verrà presto a sapere della morte della sua dolcissima mamma e dei suoi
fratelli minori, notizia che fino ad allora non credeva possibile e che le reca
un dolore inenarrabile. Unico momento di gioia inaspettata sarà la vista del padre,
non giustiziato, ma destinato al ruolo di Sonderkommando (prigionieri costretti
a rimuovere i cadaveri dalle camere a gas e a bruciarli nei forni crematori), attraverso
la recinzione di filo spinato elettrificato. Allo sconcerto nel venire a conoscenza
del faticoso e umiliante ruolo attribuito al padre, si alterna la speranza di
potersi in futuro ricongiungere. Speranza disattesa, poiché anche il padre verrà
giustiziato poco tempo dopo . Riusciranno a scambiarsi qualche parola e con l’ausilio
di altri prigionieri anche dei messaggi, ma uno in particolare rimarrà scolpito
nella mente di Sara per sempre:
A te, mia cara figlia
Suriko. Promettimi figlia mia, di camminare, di viaggiare,
fino in Terra d’Israele, in
Palestina, di sposarti e di mettere su famiglia.
Costruisci la tua casa
nella Terra Santa d’Israele. Lì avrai una vera famiglia ebraica.
Porterai avanti il nostro
ricordo e farai continuare la nostra gloriosa famiglia.
Sara sopravvive
a giornate in cui e’ impossibile scandire il trascorrere del tempo: lei e le
altre prigioniere buttate giù dal letto la mattina senza potersi cambiare,
fuori al freddo in fila per cinque per l’appello, una ciotola di te, poi ai
bagni e poi condotte allo smistamento valigie o pacchi. La sera di ritorno al
blocco, altro appello, se fortunata una zuppa a testa, altrimenti una zuppa da
dividere in 14 . La fame è una costante, il bere centellinato, il riposo su
delle assi di legno, una debolezza tale per cui è impossibile ribellarsi. Dopo
mesi che sembrano secoli, la liberazione con l’arrivo al campo dei sovietici,
il 27 gennaio 1945, e poi dopo, il lungo viaggio fino a casa, (il villaggio di
Komjat nel quale era cresciuta),nessuno ad aspettarla o ad accoglierla, la casa
occupata. L’unico barlume di speranza per Sara è la scoperta dell’esistenza di
un cugino, Shalom, unico sopravvissuto della sua numerosissima famiglia. Il
successivo trasferimento a Satmar, in Romania e il matrimonio di Sara con
Shalom danno inizio a quella che sarà la sua nuova vita con la successiva
emigrazione, appena se ne presenterà l’occasione per entrambi, in Terra d’Israele. Gli inizi non saranno facili, l'assenza dei familiari si farà sentire, ma presto l'amore che unisce questi due giovani ragazzi e la determinazione a voler vivere una vita ricca di sentimenti saranno le motivazioni fondamentali per far si che trovino la felicità.
Eti, la più
piccola delle figlie di Sara e Shalom ,ci racconta quanto percepito dai suoi genitori, cioè di come la loro fede interiore abbia continuato ad
esistere, pur trovandosi in un luogo dove non si aveva più niente.
Io sono stata fortunata a
crescere con dei
sopravvissuti di una forza
emotiva incredibile.
I miei genitori si sono
dimostrate due persone con grandi principi morali, oneste, positive.
Hanno scelto
di vivere. Hanno scelto di fare del bene. Hanno scelto di aiutare gli altri,
di
investire il proprio tempo e i propri sforzi per rendere il mondo un posto
migliore,
nonostante tutto quello che avevano passato. Ci hanno insegnato
che, anche nei momenti
più bui, dobbiamo aggrapparci ai nostri valori e fare il
possibile per preservare la nostra morale.
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