Recensione - Il sopravvissuto di Auschwitz, di Josef Lewkovicz e Michael Calvin

by - gennaio 05, 2024


Sempre oggi, 5 Gennaio, ho l'onore di recensire, grazie a Newton Compton Editori, la toccante autobiografia di Josef Lewkovicz, scritta con l'ausilio del giornalista Michael Calvin, che non dubito sarà in grado di lasciare un ricordo indelebile nella vostra memoria e nel vostro cuore.
 



 Titolo: Il sopravvissuto di Auschwitz
Autore: Josef Lewkovicz, Michael Calvin
Genere: biografia, autobiografia
Pagine: 288
Data di uscita: 5 Gennaio 2024
Prezzo cartaceo: € 9.90
Prezzo ebook: € 5.99
Traduzione: Paola Vitale



Dopo aver assistito alla morte di tutti i suoi cari, Josef sopravvisse a ben sei campi di concentramento, giurando a sé stesso che un giorno avrebbe fatto giustizia. E così, una volta libero, muovendosi nell’ambito dell’intelligence, divenne un cacciatore di nazisti con l’obiettivo di catturare il suo più spietato aguzzino: l’SS Amon Göth, noto come il macellaio di Płaszów. Contribuì inoltre a salvare centinaia di bambini orfani, nascosti dai genitori prima dei rastrellamenti. Grazie a lui, molti di loro furono portati al sicuro in Israele. Lewkowicz ha viaggiato in tutto il mondo, commerciando diamanti in Sud America e incontrando capi di Stato. Oggi ha novantasei anni e vive a Gerusalemme. Questo libro contribuisce a far luce su un momento drammatico della nostra storia, raccontando una verità cruda e profondamente umana con commovente sincerità. Una lettura da cui è impossibile staccarsi, una testimonianza che cattura lo spirito e l’anima (la neshamà, in ebraico) del sopravvissuto.

È incredibile come spesso pensiamo di sapere, essere a conoscenza, avere le idee ben chiare su un argomento, un fatto storico, una circostanza e poi succede quel qualcosa che ci fa capire quanto siamo ignari al riguardo o, semplicemente, avremmo voluto non sapere.
 
È altrettanto incredibile come leggendo della vita di Josef avrei indubbiamente preferito che la narrazione fossero le idee e la fantasia di un sadico pazzo invece che la cruda realtà.
 
Unico sopravvissuto della sua grande famiglia di centocinquanta persone all’Olocausto, Josef nasce nel 1926 a Dzialoszyce, in Polonia e all’età di 16 anni viene trasportato da degli ufficiali delle SS insieme ai genitori e ai suoi tre fratelli minori, in quello che sarà il primo dei sei campi di sterminio dove sarà costretto a vivere, o meglio, sopravvivere. La separazione dalla madre e dai fratelli è pressoché immediata, mentre rimarrà col padre a lavorare nel lager fino alla morte di quest’ultimo in circostanze che a Josef non sono mai state rese note.
 
 
“Non riuscivo nemmeno a pensare, per lo shock e il dolore.
  Avremmo potuto piangere, era la cosa più semplice, ma eravamo oltre le lacrime.
  Eravamo intirizziti, affamati, impauriti, demoralizzati.
 Nessuno dovrebbe provare una sensazione del genere. Era disumano.
 Non ci furono addii, baci, abbracci, strette di mano.”

 
 
La descrizione delle condizioni di vita, dei trattamenti subiti, delle uccisioni è qualcosa di agghiacciante e devastante allo stesso tempo e quello che non ho potuto non domandarmi in continuazione, e che si è domandato lo stesso Josef, è come sia riuscito a sopravvivere in simili circostanze, quando davvero l’unica cosa che si ha è la fede, perché tutto il resto, affetti, dignità, coraggio, forza fisica, determinazione, ti viene portato via con una brutalità aberrante.


“Riuscite a immaginare questa vita?
Nessuna differenza tra giorno e notte, niente cibo, niente speranza, nessuna tregua.
Un pezzo di pane è la salvezza. Ogni minuto che passi da sveglio temi che possa accadere qualcosa,
sparatorie a caso o un’aggressione violenta senza alcuna provocazione.
Provate a immaginare di vivere così per anni, giorno dopo giorno.
Come posso spiegare cosa provoca dentro? Come posso aspettarmi che comprendiate
fino a che punto arrivasse la degradazione?”


Josef sopravvive all’olocausto insieme a pochissimi altri ebrei, il campo viene liberato, gli ultimi ufficiali delle SS non perdono tempo a sparpagliarsi ovunque. Un momento decisivo per la vita di Josef, il quale si ritrova completamente solo, come unica famiglia dei ragazzi del lager con i quali ha condiviso gran parte di questo atroce percorso e, proprio con loro, decide di andare via e ricominciare a vivere con in mente però, un solo grande obiettivo: portare in giudizio i colpevoli, con un nome a sovrastare sugli altri, l’SS Amon Göth, detto il macellaio di Plaszòw.


“Questo non riporterà indietro le migliaia di persone che ha ucciso,
né riequilibrerà la storia, ma le sue azioni, nella liquidazione dei ghetti,
 ebbero un grande impatto nel successivo cambiamento di direzione della mia vita.
Volevo fare in modo di dare valore alla seconda chance che avevo avuto.
Sentivo di dover fare qualcosa di più grande di me.”


Questo qualcosa si concretizza grazie alla capacità di aiutarsi tra loro della comunità ebraica, concetto bellissimo a mio avviso, che Josef esprime con orgoglio in più di una circostanza, che fa sì che si concretizzi l’idea di soccorrere i bambini ebrei rimasti orfani e offrire loro una nuova possibilità nel ricongiungerli con le loro famiglie d’origine. Josef si adopera con gran coraggio e dedizione affinché questa iniziativa diventi realtà e sia portata a termine.
Si innamora di Perla, ha tre splendidi figli ai quali trasmette una profonda fede e da un’eccellente istruzione, parecchi nipoti e pronipoti, una soddisfacente vita lavorativa, splendide opportunità di riscatto sia economico che affettivo e amici sinceri ma, nonostante ciò, si ha modo di percepire durante tutto il racconto, una profonda e costante nostalgia per chi purtroppo non fa più parte della sua vita. Oggi, novantaseienne, vive a Gerusalemme.
Non è mai la violenza o il bisogno di altra morte a guidare la vita e le azioni di Josef. Egli crede che facendo del bene, si riceva del bene a propria volta. Ha imparato dai malvagi a non essere malvagio.
 

“Quello che dico sempre alle persone è di scegliere la vita,
scegliere la bontà. Può scendere l’oscurità, ma la luce della vita riuscirà a trasparire.
 Il mio ultimo scopo, nella vita, è continuare a parlare, raccontare, insegnare.”


Il mio personale plauso va anche a Michael Calvin per aver persuaso, non con poche difficoltà, insieme ai figli di Josef, quest’ultimo a voler raccontare la sua vita da sopravvissuto all’olocausto e per averla trascritta in una maniera ineccepibile, profonda e coinvolgente. Questa storia di morte è anche una storia di speranza e le scelte di vita di Josef che ne sono conseguite ne sono la prova.
Ho voluto parlare attraverso alcune frasi del libro perché volevo che fossero proprio queste ultime ad arrivare a voi con l’intensità e la veridicità con cui le ho percepite io. Non so se sono riuscita nel mio intento, ma vorrei lasciarvi con una data, il 27 gennaio, il “Giorno della memoria” in ricordo delle persecuzioni del popolo ebraico e con una frase del rabbino Rabbi Israel ben Eliezer che disse: “Nella dimenticanza affondano le radici dell’esilio, nel ricordo allignano i semi della redenzione”.

A presto


                                                          

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